Dagli interventi
introduttivi di Mannino e Cipolla
Troviamo in questa silloge poetica di Calogero Miceli, pagine
paragonabili a un continuo battito cardiaco dove la speranza che tutto
si colori di un ottimismo vero, si fa via via sempre più forte e vuol
fare udire il ritmo sgorgato di quanto non sempre si riesce a comunicare
con tale semplicità idilliaca e tale bellezza euritmica. La sua poetica
mette sul pentagramma della vita, tutte quelle note d’amore pronte non
solo a delectare col gusto che scaturisce già da una prima lettura, ma
anche a docere i giovani e l’uomo d’ogni tempo, a cantare un inno di
libertà e sincerità dove non ci può e non deve esserci posto per le
mezze frasi fatte e dove tutto deve esprimere un’armonia esistenziale in
chiave polifonica, per proferire al bambino che nasce e all’uomo che va
via tutto quel bagaglio d’esperienze forti che fanno d’ognuno di noi un
uomo che si sa goccia, in un oceano che è vita.
Il poeta canta l’amore, alle prime luci del giorno,durante le ultime
ombre della notte, in cui essendo un tutt’uno ma restando se stessi e
liberando legami, rincorre un amore senza stelle e senza luna.
L’originalità di questo corpus sta nel silenzio che parla.
Una Spoon river anthology,visione caleidoscopica del vissuto di un
microcosmo nel microcosmo, Sovente affiora il tema religioso come
invocazione d’aiuto al divino per tornare a condizioni veramente umane
spezzando l’arida strada dell’egoismo, del vampiro che ammorba la
Sicilia, la visione del poeta s’allarga poi, per mettere a fuoco
sentimenti privati, tragedie globali terroristici o per disegnare una
natura ideale che s’inerpica, riempiendo i vuoti lasciati dalle case e
dai campi non più calpestati da contadini e zolfatari che s’avviavano
all’alba verso le campagne o le miniere. Nonostante i suoni dialettali,
domina il silenzio: un omaggio sussurrato, ma sentito nei confronti
soprattutto del mondo dei nonni che non c’è più.