Nudo
di
Lisa Massei
Nudo, circondato
dalla devastazione. Sedie spezzate ed accatastate, fogli di
giornale che svolazzavano accartocciandosi per aria. Pugnali di
vetro ovunque pezzi, frammenti, schegge
polvere di vetro.
Due luridissimi materassi ed un divano marrone dai cuscini
sfondati che puzza di piscio di cane. Chiazze informi sul
pavimento di cemento, una borsa tirata da una parte, una scarpa
da donna, un ombrello spezzato, delle mutande merdose, un paio di
calze, degli abiti arrotolati assieme alla polvere e scaglie di
legno, i resti di quella che una volta era una libreria,
rovesciata a terra. Libri. Libri chiusi, aperti, senza copertina,
bruciati, carbonizzati, crocifissi.
A lui non importava a cosa fosse servita quella casa dalle
finestre sfondate, imposte usate per accendere il fuoco,
importava soltanto cosa sarebbe stata adesso per lui. Il suo
rifugio, la sua casa. La sua vera casa, la sua nicchia. Il ventre
di sua madre, la placenta di se stesso. Era pronto a rinascere,
sentiva la forza ferirlo dentro, doveva esternarla. Era la sua
anima che lo faceva a fette. La sua carne non sarebbe più stata
costretta alle ossa adesso. Poteva finalmente strapparsi le spine
sotto pelle, strapparsi e strappare.
Si accartocciò sul divano attorcigliato nervosamente ad una
coperta, che puzzava di vino e vomito. Dormì ore eterne
impastato nel sudore.
Fu il pianto di lei a svegliarlo.
Si alzò, era ancora riversa sul materasso, con quella pancia
deforme. Cosa c'era in quella pancia? Quale vita pulsava? Quale
mostruoso androide avrebbe messo al mondo? Era la mamma. Doveva
diventare la sua mamma, era lui che doveva stare dentro di lei e
non quel verme tentacolare.
Si avvicinò accarezzandole la nuca e vederla imbavagliata e
piangente lo eccitò. Il sangue tornò a circolare come una
lingua di fuoco dentro di lui, le guance gli si colorarono ed
iniziò ad ansimare come un cane, una bestia smaniosa. Era giunto
il momento: adesso o mai più, come diceva sempre suo padre,
adesso o mai più, doveva soccorrere, doveva fare qualcosa per
salvare quella signora. Afferrò una scheggia di legno e la
conficcò nella sua pancia, aprendo uno strappo in quella carne
elastica che faceva resistenza, ma che alla fine cedette. La
donna era svenuta, la testa rovesciata inumanamente da una parte,
come se avesse il collo spezzato, gli occhi schiusi completamente
bianchi. Gettò il pezzo di legno, che aveva fatto il suo dovere,
ed affondò le mani nella carne, già interamente schizzato di
quel liquido rosso scuro, caldo e dal sapore invitante, fece
forza ed aprì la pancia dilatata fino ad allargare la ferita, a
farla passare fra i seni. Urlò di gioia rantolante. Guaì mentre
estrasse il feto senza vita, come fosse un trofeo, una conquista.
Lo strappò dalla madre e lo gettò dalle scale, mentre
continuava ad urlare in preda all'eccitazione nel vederlo
rotolare come un bambolotto paffutello e ridicolmente goffo. Poi
si fermò. Si zittì. Tornò dalla donna e si chinò di nuovo su
di lei, sulla sua pancia. Si ritirò su se stesso imitando la
stessa posizione di quell'essere, si aggomitolò affondando la
faccia dentro al suo grembo materno.
Toc Toc
"France, andiamo, la cena è pronta",
"S-ssi, m-mmamma, arrivo".
La donna torna sconsolata in cucina, prende la pentola della
minestra e, fatti pochi passi, l'appoggia sul tavolo della
piccola sala da pranzo in penombra. Sa perfettamente cosa sta
facendo suo figlio, e sa anche che non deve dirgli niente, è
meglio che lo lasci fare se non vuole finire come l'ultima volta
che dovette chiamare i carabinieri perché stava per stuprarla.
Nessuna donna ci sarebbe mai andata con un povero ritardato come
lui, il locco del paese. Discosta lentamente la sedia e si siede
attendendo, come ogni sera, che arrivi. Accende la TV pensando a
Giovanni, il suo povero marito, morto solo pochi mesi prima sul
lavoro, al cantiere navale. Pensa anche che non le è rimasto più
nulla di bello nella sua vita. E' una donna sola, con un figlio
degenere, di cui si può solo vergognare, ogni volta che lo porta
in giro e trovano per strada una donna incinta lui comincia a
sudare e tremare come un pazzo, non sa perché, cosa le passerà
per quella testa malata? Suo marito non c'è più, ed assieme a
lui è morta anche la sua giovinezza, almeno, si consola, così
non è più costretta a passare le giornate assieme a Francesco,
lo lascia in casa da solo, non le interessa cosa combina, non le
interessa dove va, quando esce di casa la mattina presto per
andare a fare le pulizie in giro per il palazzo con la scusa di
racimolare due soldi per arrivare a fine mese. Intanto Francesco
esce tutto eccitato dal bagno, s'è imbrattato i pantaloni di
sperma, come al solito. Si dirige in sala da pranzo con la patta
aperta. "Tirati su la cerniera" le dice la donna, ma
lui non ci riesce, gli tremano ancora le mani. E' rimasto lì
come un allocco con il fiato che pian piano va placandosi. La
donna, con in volto la tristezza, si alza sospirando, le tira su
la cerniera e lo invita di nuovo a sedersi.