Racconto di Alessandra Nassuato
Indosso insicurezza
Mi sono
vestita elegantemente, l'occasione è importante e non devo
sfigurare.
La longuette grigia arriva appena sotto il ginocchio, la giacca
è appositamente sbottonata all'altezza della scollatura e le
foto dei miei figli sono nascoste nella minuscola borsetta nera.
Nera come le scarpe appuntite. Appuntite come le unghie
ricostruite che sfoggio. Sfoggio insicurezza.
Ma loro non lo sanno, non devono capire che una donna manager è
anche debole, è anche madre, è anche priva d'amore.
Lo stand è affollatissimo e cola sudore dalle pareti in cartone
e dagli abiti dei rappresentanti. Sorrido, intrattengo e convinco
della qualità dei nostri completi maschili. I clienti mi
credono, i dipendenti si sforzano, io non so più cosa ci sto a
fare qui.
Vendo stoffa forgiata a misura d'uomo, vendo sogni da indossare,
vendo fredda sostanza in fresco di lana, viscosa e cotone.
Tocco con lievi movimenti della mano le tirelle colore e mostro
l'infinita possibilità di scelta. Ma io che possibilità
possiedo?
Nessuna, lo so benissimo. Separata, due figli grandi per la loro
strada, un viso rassegnato, un corpo che non mi convince più,
dove trovo la mia possibilità?
Due indossatori provano e riprovano i capi di punta della
collezione, sforzandosi di resistere al calore, ampliato da
sguardi e respiri. Non so proprio come fanno.
Il camerino di Davide è appena socchiuso e mentre parlo con il
nostro grossista arabo, l'occhio mi cade sul suo corpo giovane e
frenetico. Si sta sfilando i pantaloni e le gambe muscolose mi
agitano impercettibilmente i sensi.
Impercettibilmente perché so di non potermelo permettere. Lo so
e basta.
Poco prima di indossare la camicia in finissimo chambray bianco,
Davide si volta verso di me cosicchè io posso soffermare furtiva
lo sguardo sul suo petto.
Un petto villoso e maschio, erotico e sicuramente profumato
d'istinto. Un petto che non mi posso permettere.
Le foto dei miei ragazzi dal fondo della borsetta me lo ripetono
a dovere.
Esce e sorridendo ad arte e sfila per noi, anche per me.
Avrà 30 anni, Davide e sarà sicuramente fidanzato con una
stangona bionda dalla pelle vellutata priva di rughe.
Lo so, non me lo posso permettere.
"Dove vai a pranzare?" mi chiede Davide.
"Mangio un panino qui in fiera."
"Ti posso fare compagnia o sei impegnata con qualche
cliente?"
"No, nessun cliente."
No, nessun cliente, nessun fornitore, nessun rappresentante,
nessun uomo da almeno cinque anni. Solo abiti vuoti, essenza
maschile da proporre.
Da proporre agli altri.
Nessun letto sfatto da abbandonare in fretta, nessun bacio rubato
con distrazione, nessuno sfioramento di pelle.
Nemmeno ricordi ormai.
E poi cosa me ne farei di un ricordo sbiadito e di attimi lontani
che non mi complicano le viscere?
Ho bisogno di nuove illusioni per rinascere, di speranze
convincenti.
Di Davide forse.
Di un letto da disfare in due, del suo tepore che mi riscaldi
l'anima e ne ho bisogno subito.
Non gridate figli miei, dal fondo della borsetta, vi prego
Lasciatemi almeno sognare quella mascolina gioventù che da tempo
non riesco a possedere. Lasciatemi incolpare il destino della
velocità del tempo che consuma anche me.
Mangio il panino farcito di verdure al vapore ed osservo le
labbra di Davide, piene di passione che mi potrebbe regalare.
E mi ritrovo ad immaginare le sue mani sul mio seno e le mie
affidate a lui, affidate all'esperienza che io non posseggo più.
Non so più sedurre se non con l'evidente scollatura, non so più
sorridere se non istigata a farlo, non ritrovo più la femminilità
che dovrebbe appartenermi.
La sfrontatezza è l'unica arma che vesto.
"Sei libero stasera?"
"Per te sì."
Per me. Ma chi sono io per meritare la sua compagnia? Cos'ho da
offrire ad un qualsiasi uomo se non solitudine lacerante?
"Sto all'Anthony hotel, ci vediamo per cena, va bene?"
"Perfetto."
Niente di perfetto, nemmeno gli abiti griffati che la valigia mi
ha sgualcito, nemmeno i gioielli che che porto addosso, nemmeno
le intenzioni segrete della mia carne.
Ma lui questo non lo sa ancora e farò di tutto perché non se ne
accorga troppo presto.
La cena deliziosa non mi attira quanto il vino rosso che mi verso
in continuazione e nemmeno quanto Davide. Non ancora.
Il terrore di non piacergli blocca ogni angolo del mio corpo che
è rigido sulla sedia e nei voli della fantasia. Però a poco a
poco mi sciolgo negli occhi di Davide e nelle sue parole.
"Sei stata gentile ad invitarmi, non me lo sarei aspettato
da una donna come te."
"Come me, come?"
"Bella, sexy, sicura."
Ha frainteso anche lui, meno male!
Non ho più voglia di parlare, se solo potessimo già precipitare
sul letto della mia camera
Se solo potessi liquidare in un secondo tutto lo spazio che ci
trattiene
Se solo potessi amarlo come vorrei essere amata
Indosso ancora sfrontatezza e lo incalzo: "Andiamo!"
Lo prendo per mano e lo conduco all'ascensore, guidandolo nelle
mie tremanti paure.
"Baciami Davide."
Appena varcata la soglia lui si getta nella mia bocca, nelle
pieghe del mio collo e negli espedienti celati dagli abiti.
Una scossa violenta mi squassa facendomi vacillare l'equilibrio.
Ma dov'è il letto?
Dov'è il rifugio sicuro alle mie pene?
Dov'è la soluzione che agogno?
Davide è già nudo davanti a me, è già privo di protezioni, di
limiti al mio amore.
Io, ancora vestita d'incertezza, mi adeguo all'attimo.
Mi sbottona delicatamente la camicetta scoprendo il body di pizzo
color petrolio e mi sussurra: "Lasciati andare, piccola e
sarai felice."
Felice? Felice di amare un ragazzo? Felice di aver recuperato le
fila di ciò che mi sfugge? Felice di cosa?
Di un amplesso nato per sbaglio o di un uomo desiderato con
prepotenza?
Ma felice di cosa?
Lo sento turgido premere le mie ginocchia serrate, lo sento vivo
e pulsante qui, per me.
Per me o per un'altra? Per una donna che non esiste o per un
pezzo di carne qualsiasi?
"Dai, lasciati andare, non lo volevi anche tu?"
E che ne so di cosa volevo o di cosa voglio? E lui, lo sa meglio
di me? Come fa ad essere sicuro dei miei desideri se non lo sono
nemmeno io?
No, non volevo questo. Mi sento stupida, carne da macello, corpo
senza volto, puttana.
"No, non volevo questo! Vattene!"