Eugenio Orso

 

 

 

Fase interglaciale

 

 

Un tempo io fui la roccia o la neve, il sangue di un parto prematuro, Io fui

Il silenzio del mattino e confusione di mandrie, al galoppo nelle vaste pianure

 

Prima che il ghiacciaio si sciogliesse, fui la nuvola ribelle, una statua di pietra

Prima che l’onda s’increspasse, uno squalo estinto alla ricerca della preda

 

Prigioniero del terzo millennio ora mi vedi, sorseggiare il caffé al bancone,

Mi senti tossicchiare per il fumo, che sale beffardo dall’ultima sigaretta

 

Se ci fosse un dio in cima alla piramide – annichilito e solo, relitto siderale

  piovuto per caso degli spazi infiniti – se ne starebbe accanto a me a fumare

 

Indifferente alla fine dei tempi (all’ipersfera, all’orizzonte degli eventi) anche lui Ignorerebbe il vuoto dei giorni di ghiaccio in cui – tutti – fummo concepiti

 

 

Commercio

(W.T.O.*)

 

 

Il nulla è qui, fra noi, specchiato da lucenti superfici, in questi stand planetari in cui si Vende, al miglior offerente, la materia dei sogni, in cui si mercifica il futuro e il presente,

In cui si contratta la sorte del mondo

 

Invenzioni dell’uomo e riflessi del cielo si confondono, nell’urgenza di fondo

Del grande Commercio, nel bisogno profondo di produrre per consumare, nel sogno

Primordiale dell’essere per avere

 

Mi chiedo se è vero che il nostro destino è il fondo della cornucopia, se è scritto

Che un disegno divino ci costringerà a scambiare, all’infinito, il piacere con il dovere

(o viceversa), se la morte c’inseguirà, ancora per molto, e la sorte – a noi tutti così avversa, sconosciuta – ci riserverà soltanto l’impagabile ironia del Mercato,

La tetra prigione del Profitto …

 

Mi chiedo se nelle fauci d’un mostro freddo, globale e illimitato, si dibatte – inutilmente –

Quella debole coscienza che muta ci accompagna, il nostro solo bene …

La  nostra sommessa voce, di caduti nelle guerre commerciali, di sventurati adoratori

Del vitello – alle porte della terra promessa – di ostaggi che rischiano l’esecuzione, Nell’insana vendita all’incanto d’ogni desiderio e umana aspirazione

 

Mi chiedo se la montagna di ciarpame che il supremo mercante – ghignando – ci propone,

Altro non sia che lo spurgo d’un epoca indecente, la truffa di un alieno che si finge

Progresso e pace, lavoro e scienza, panem et circenses, la beffa d’una ineffabile mente Divertita, Il tragico prodotto della fede in un dio rapace, misantropo e incosciente

 

  • World Trade Organisation

 

 

 

Pestilenza

 

 

Perplesso, davanti alle forme d’una strana architettura, ripensi al passato, ai giorni del Sacro, ripensi alla peste che comparve, fra l’arsura e il sospetto, nelle sabbie d’un deserto Immoto … a sciami le locuste ritornano – armate di scimitarra – in nubi di polvere che la

Storia risparmia, che il tempo nasconde, impotente, fra i lamenti del cielo e lo stupore Dell’uomo

 

Miriadi d’insetti, generati dalla morte e guidati dal terrore, si avvicinano alla Porta,

Furiosi, come l’onda che travolge i terrapieni, che scavalca le muraglie, sciamanti

Nella casa della guerra e dell’errore, dal brulicante abisso della disperazione, desolata orda Senza nome e senza volto, nel culto deteriore del martirio, il popolo cieco e arrogante

D’un mondo Inferiore

 

Ti sembra di scorgere l’orrore dei volti deformati dall’urlo della fede, nelle pieghe del Silenzio, nei saccheggi immotivati che sconvolsero la terra … Ti sembra d’udire, oltre L’orizzonte, un’oscura lingua salmodiare inni, recitare versi, sussurrare al vento le doglie Dei falsi profeti, che inventano leggi e ordiscono trame, che usurpano sogni e corrompono

Queste povere menti obnubilate

 

E’ questo il demonio? – Infine ti chiedi – un meteorite caduto sulla terra al tempo dei Tempi, da infernali distanze precipitato e i sottomessi che a lui s’inginocchiano, tremanti Sulla stuoia e cinque volte maledetti, con le schiene piegate, gl’occhi socchiusi

Davanti al Leviatano?

 

E’ questo il male che roderà il mondo fino alle ossa, nell’insano pasto d’una follia che non

Si placa? Questa verde infezione del pensiero che contagia la materia, questa nera Menzogna conclamata?

 

 

Simbolismi

 

 

Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées, 

Des montagnes, des bois, des nuages, des mers, 

Par-delà le soleil, par-delà les éthers, 

Par-delà les confins des sphères étoilées, 





Elévation, di Charles Baudelaire

 

 

 

In queste dolenti pianure – a perdita d’occhio – un tempo coperte dal ghiaccio e dal muschio ed ora percorse da strade invisibili, scavate nei cablaggi sotterranei, solcate da teorie di reticoli, io v’intravedo simboli – nuovi ed antichi – che attraversano il mondo assieme alla luce

 

Una mente superiore ha seminato questi fatui territori di steli ed algoritmi incomprensibili, che sedimentano nelle rovine del passato in confuse ed infinite stratificazioni … in controluce v’intravedo le forme della nostra salvezza e della nostra disperazione, e nel silenzio di un viaggio incompiuto ascolto le voci da un’altra dimensione

 

Emozioni d’immagini smarrite nei recessi della mente, sensazioni di ghiaccio e di fuoco, ricompaiono fra i pixel d’un mare insondato, affiorano come relitti oltre la conoscenza, oltre la portata dei grandi telescopi … è il silicio che genera ombre, più della sintesi, del crak e dell’oppio, nelle scure foreste di simboli immortali percorse dal nostro doppio

 

E’ lo schermo che si dilata abbracciando l’infinito, e nel plasma ci rivela gli accessi ad altri universi, luminosi quanto i miseri puntini che si agitano nel profondo … con nuova armonia, ti dimentichi della carne e del sangue, della triste eredità del mondo, libero finalmente nell’essere e non essere, fra gli arcani, ciò che la mente vorrebbe che sia …

 

In questo tempo minore, col ghiaccio che ancora si scioglie, il silicio genera ombre, moltiplica i simboli che ci orientano in terre cangianti, in vaste depressioni e radure  perdute, nel lungo percorso che ci conduce dalla sorgente alla foce, verso l’inesprimibile, verso la luce

 

 

 

 

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