Anna non riusciva
proprio a dimenticare, l'ombra più piccola le accarezzava la pelle,
l'avvolgeva, le implorava di aiutarla, poi le attraversò il corpo.
Più in là, Paolo aveva i piedi piantati a terra, non riusciva ad avvicinarsi
alla moglie, poi l'ombra più grande si avvicinò a lui e prese possesso del
suo corpo.
Tutto questo solo per vedersi ancora una volta attraverso occhi umani, poi,
non riuscendo a trattenersi dentro quei due corpi, le ombre furono spazzate
fuori e svanirono.
Nei suoi incubi, riviveva quella sequenza di attimi, la voce di Alfeo le
chiedeva di aiutarlo, ma Paolo si rifiutava di ascoltarla, aveva rimosso dalla
sua mente quell'episodio irrazionale, vissuto a Siracusa.
Nulla riuscì a fermare Anna, sentiva dentro di sè il bisogno di risolvere
quell'enigma, desiderava però l'appoggio di Paolo, la città di Olympia, ad
ovest del Peloponneso, nascondeva una parte di Alfeo, quell'occhio che il dio
del fiume aveva pianto per la sua amata Aretusa, le sue acque tumultuose lo
avevano disperso, mentre s'immergeva nella terra dell'Elide e scompariva per
sempre da quel luogo.
Riemerse in Sicilia, a Siracusa, accanto alla sua tanto desiderata ninfa, che
la dea Artemide aveva reso Fonte per salvare la sua verginità dal suo
appassionato corteggiatore, ma neanche questo riuscì a fermare Alfeo, che unì
le sue acque con quelle della fonte per l'eternità. Adesso desiderava solo
riavere indietro ciò che gli apparteneva da sempre, l'occhio di Zillica, così
come la tradizione siracusana lo aveva chiamato.
L'occhio, forse una perla pescata in quel mare, il cui colore si fondeva con
l'azzurro del cielo, che gli antichi Greci avevano ritrovato e nascosto in
qualche luogo sacro alla dea Artemide, doveva essere proprio ad Olympia, là,
nella valle bagnata dal fiume Alfeo, ormai ridotto in piccolo torrente,
protetto da tutti i mali del mondo, dove la natura difficilmente tradisce,
dove il tempo si dilata e la roccia protegge.
Nascosto dal tempo, dagli occhi di chi brama per possederlo, dall'avidità
dell'uomo, l'occhio era protetto dalla dea Artemide, la dea polymastos, dalle
molte mammelle, così come i Greci la definivano, come simbolo del nutrimento
e della fecondità, l'avevano ritrovato in quelle stesse acque, ne avevano
innalzato un tempio e conservato laddove l'Alfeo nasce, dalla sorgente del
Monte Taigeto, montagna sacra agli spartani nella quale essi gettavano i
figlioletti gracili, che non sarebbero mai potuti divenire ottimi guerrieri.
Una statua d'avorio e d'oro della dea cacciatrice, rivolta verso la sorgente,
porgeva ad essa l'occhio, quel sacro luogo non era mai stato trovato,
nonostante da parecchi anni, esperti archeologi avevano svolto diverse opere
di sbancamento, avevano cercato ovunque, vicino al maestoso Olimpieion, tempio
sacro a Zeus, dentro il sacro recinto o Altis, vicino allIppodromo, esterno
all'Altis, che le acque dell'Alfeo avevano sommerso in passato, nessuno aveva
pensato alla Valle dell'Alfeo, nessuno aveva la purezza d'animo necessaria per
capirlo, Anna la possedeva quella purezza e, spinta da una forza
incontenibile, portò a compimento la promessa fatta ad Alfeo.
Paolo le fu accanto, comprendeva la moglie, in fondo, quel giorno, anche lui
aveva provato la stessa sensazione, non l'aveva rimossa, ne era solo
spaventato.
Contro chi cercava l'occhio di Zillica solo per se stesso e spesso anche
raggirando regole dettate dall'uomo, che impongono di conservare oggetti
d'arte, nella città dove vengono ritrovati, Paolo e Anna riportarono alla
luce quella perla; Siracusa, densa di miti, tornò ad avere il suo più grande
tesoro, la gente, vedendo l'occhio che risplendeva sul viso bronzeo
dell'Alfeo, accanto alla fonte, esultò con gioia, per loro era come una manna
dal cielo, un messaggio ben augurante, credevano ciecamente a quella storia,
quasi come se dimenticassero che quella era solo una leggenda, come se quella
coppia di innamorati, fosse esistita davvero, proprio così, ma a volte
credere in qualcosa di illogico può far bene, riempie il cuore e poi chissà,
se nel mito non ci sia un fondo di realtà.